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Il mito di Colombano Romean, lo scalpellino che da solo nel Cinquecento costruì il “Gran Pertus”

CHIOMONTE. In un angolo della Valsusa, dove la natura si intreccia con la storia, si trova il “Gran Pertus”, un tunnel che va oltre la semplice definizione di “buco” in piemontese. La straordinaria creazione, realizzata quasi 500 anni fa, è un monumento all’ingegno umano e alla determinazione di un solo uomo: Colombano Romean, un abile scalpellino di Chiomonte che aveva imparato la tecnica di scavo in Francia.

Nel 2000, il romanziere torinese Alessandro Perissinotto ha ripreso la vicenda dell’indomito scalpellino nel suo romanzo “La canzone di Colombano”. Un romanzo da leggere d’un fiato, immaginando questo indomito, armato solo di uno scalpello, affrontare una sfida titanica. A 2000 metri d’altitudine, sotto i maestosi Quattro Denti di Chiomonte, scavò nel tufo un tunnel lungo 433 metri, largo un metro e alto quasi due. E questo non fu solo un lavoro di ingegneria, ma soprattutto un atto di coraggio, fatica e dedizione.

Colombano iniziò il suo progetto nel 1526, ma la storia del “Gran Pertus” cominciò molto prima. Già nel 1504, i comuni di Exilles e Chiomonte pianificarono lo scavo, ma le lunghe discussioni e la ricerca di un esperto ritardarono l’inizio dei lavori. Fu solo dopo più di vent’anni che lo scalpellino ricevette il compito di portare a termine quest’opera monumentale, necessaria per convogliare l’acqua del Rio Touilles (detto anche Rio Tiraculo), dalla vicina Val Clarea in Val di Susa,per consentire l’irrigazione dei terreni delle borgate di Cels e Ramats. Di fatto, per questa necessità esisteva già un acquedotto sospeso in legno, ma la sua portata era decisamente ridotta e il suo apporto era disponibile solo nei mesi estivi. Per non parlare dei costi di manutenzione…

Romean, per scavare nella giusta direzione, creò delle mensole su cui poggiò delle candele in fila, per vedere se lo scavo procedeva nella direzione voluta. Per ogni mese di lavoro, ricevette due emine di segale, vino, attrezzi per lo scavo e un compenso di 5 fiorini e 12 soldi per ogni tesa (antica unità di misura corrispondente a circa 1,78 metri) scavata. La sua dimora fu un capanno all’imbocco della galleria dotato di un pagliericcio, delle lanterne per illuminare, della segale e del vino. Oggi sarebbe difficile immaginare un uomo solo, avventurarsi ogni giorno nel tunnel, affrontando le difficoltà di un lavoro simile. Unico compagno il proprio cane.

Secondo una leggenda, fu proprio il suo amico a quattro zampe a rifornirlo giornalmente di cibo fresco andando e venendo dalla borgata Ramats, che si trova ad ore di cammino dal cantiere. Ma di leggenda si tratta, così come avvolta dal mistero è la sua fine. In effetti, quando nel 1533 il tunnel fu completato, la gioia di Colombano si trasformò in tragedia: lo scalpellino morì. C’è chi ipotizza che sia stato avvelenato dagli stessi abitanti di Chiomonte per non pagare quanto avevano pattuito. E cioè 1600 fiorini, che avrebbe consentito all’uomo di vivere da nababbo. Un’altra versione parla di morte in seguito ad una malattia provocata dal freddo e dall’umidità che aveva portato all’accumulo di grandi quantità di liquido linfatico nei tessuti. Qualunque sia la verità, il suo sacrifici garantì alle borgate di Cels e Ramats un apporto idrico vitale.

Oggi, il Pertus è un tesoro da esplorare. Durante i mesi di minore portata idrica, tra agosto e novembre, è possibile attraversare il tunnel con stivali e torcia frontale, ammirando le evidenti tracce del lavoro di Colombano: i segni dello scalpello, le nicchie per le lanterne e le immagini scolpite. La storia di questa monumentale opera è commemorata da una lapide di bronzo, che celebra l’eredità di Colombano Romean e il suo impatto duraturo sulla comunità.

Foto di Beppe Ronco

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