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La colonizzazione walser all’ombra del Monte Rosa: un patrimonio culturale sostenibile

Chi è stato in Val d’Ossola e in Valsesia non può non essersi imbattuto nelle tradizioni e nella cultura walser, che all’ombra del Monte Rosa è vecchia di circa 800 anni. In effetti, le popolazioni walser, di origine alemanna, dopo essersi stabilite in Svizzera tra il IX e il X secolo, colonizzando le zone collinari lungo i fiumi e le sponde dei laghi, giunsero anche in Italia a partire dal 1200. In effetti, nel Vallese, i contadini alemanni rimasero a quel periodo, per poi disperdersi in piccoli gruppi e fondare colonie nelle Alpi, dove il paesaggio e il clima ricordavano la loro terra d’origine.

Il termine “walser” deriva proprio da “walliser”, un riferimento ai residenti del Vallese. La civiltà walser è considerata dagli studiosi un chiaro esempio della capacità di sopravvivenza e adattamento di un popolo che ha affrontato sfide significative per prosperare ad alta quota. Questi pionieri hanno superato gli inverni rigidi, il rischio di valanghe e hanno trasformato il loro ambiente attraverso il disboscamento e la bonifica del terreno. Hanno canalizzato le acque dei ghiacciai, selezionate varietà di sementi adatte e sviluppate infrastrutture come strade e ponti, adattando il paesaggio alle loro necessità.

Tra il XIII e il XV secolo, si stima che circa 100 colonie walser siano state fondate nelle regioni alpine che oggi appartengono a Svizzera, Francia, Italia, Austria e Liechtenstein. Tuttavia, la migrazione non fu frutto di una scelta libera, ma piuttosto il risultato di una pianificazione da parte dei signori feudali. I contadini, privi di diritti civili, non potevano abbandonare la propria terra senza permesso e furono trasferiti dai loro signori in nuove aree di proprietà. La migrazione walser si inserisce, dunque, in un contesto storico caratterizzato da un aumento demografico nell’Europa centrale durante Duecento e il Trecento.

Questo fenomeno portò le autorità laiche e religiose a promuovere la bonifica di nuove terre, offrendo ai coloni l’emancipazione dalla servitù e la proprietà perpetua delle terre coltivate. Gli ordini monastici, insieme ai conti di Biandrate, signori della Valsesia e con feudi nel Vallese, giocarono un ruolo cruciale nel favorire la colonizzazione dei territori montani. Queste unità garantivano vantaggi significativi, come una riduzione dei gravami fiscali e la libertà personale per coloro che decidevano di stabilizzarsi in queste regioni, particolarmente attraenti durante il periodo di clima caldo.

Il popolo walser portò con sé tecnologie all’avanguardia nei settori dell’agricoltura, della gestione forestale e dell’edilizia, dimostrando una notevole resilienza e riuscendo a prosperare nonostante le sfide poste dalle variazioni climatiche. A partire dal XIV secolo, la piccola era glaciale comportò un avanzamento dei ghiacciai, la chiusura di molti valichi alpini e una significativa riduzione delle terre destinate all’agricoltura e al pascolo. Tuttavia, i walser furono capaci di adattarsi, mantenendo viva la loro cultura, le loro tradizioni e la loro lingua. Le comunità walser sono tuttora dedite, oltre che al turismo, alle attività artigianali e agro-silvo-pastorali. Vantano eccellenze nell’artigianato del legno e nella produzione di formaggi d’alpeggio.

Esperti conoscitori della montagna, avvezzi ai climi rigidi, i walser trovarono nelle Alpi Pennine, Lepontine e Graie un ambiente ideale dove insediarsi. In questi territori montuosi, ancora oggi pressoché incontaminati, caratterizzati da piccole borgate, pascoli d’alta quota, boschi e ambienti rocciosi improduttivi, il loro antico idioma viene ancora parlato dalle poche centinaia di persone che formano la comunità walser delle valli Ossola, Formazza, Sesia e Anzasca.

Tpiche costruzioni walser ad Alagna Valsesia (dal sito https://visitmonterosa.com/)

In Piemonte, i walser sono presenti in due province: quella di Vercelli e il VCO (Verbano-Cusio-Ossola), con centri significati come Alagna Valsesia, Carcoforo, Rima San Giuseppe e Macugnaga. In Valle d’Aosta, i comuni di Issime, Gaby, e Gressoney-Saint-Jean ne custodiscono gelosamente la cultura. Essi definiscono la loro lingua come titsch, töitschu o titzschu, termini imparentati con il tedesco standard deutsch. Questo idioma, insieme ai cognomi, agli abiti e ai costumi tradizionali, rappresenta una delle principali eredità culturali di questo popolo. Anche l’architettura è un elemento distintivo di questa cultura. Le case walser, costruite in legno e pietra, si integrano perfettamente con il paesaggio montano. Le abitazioni, con i loro tetti spioventi e le loro strutture robuste, sono un esempio di come questo popolo abbia saputo adattarsi all’ambiente alpino. In effetti, le case tradizionali, chiamate stadel o rascard, riflettono non solo l’abilità costruttiva di questa popolazione, ma anche l’adattamento alle dure condizioni montane. Le strutture combinano una base in pietra, utilizzata per stalle e cantine, con una sovrastruttura in legno per l’abitazione e il deposito del grano. Una caratteristica interessante è l’uso dei cosiddetti “funghi”, blocchi di pietra a forma di fungo che separano la parte abitativa dal granaio, proteggendo i raccolti da roditori e umidità. La wohnstube è l’unica stanza riscaldata della casa ed è il cuore dell’abitazione, dove si svolge la vita quotidiana nei mesi invernali. 

Per chi intende approfondire, consiglio una visita al Museo Walser di Alagna Valsesia, realizzato in una  baita perfettamente conservata, datata 1628, esempio inalterato di ciò che la Casa Walser fu nei secoli e del suo utilizzo. Info: tel. 347.1377404

Piero Abrate

Piero Abrate

Giornalista professionista, è direttore di Storie Piemontesi. In passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. E’ stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino e direttore del portale regionale di informazioni Piemonte Top News.

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