
La Madonnina, un santuario neoclassico nelle campagne di Verolengo
Nelle campagne di Verolengo, a poca distanza da Chivasso, in un’area dove, fino al trattato di Cherasco del 1631, correva il confine tra il marchesato del Monferrato e il ducato di Savoia, sorge la mole neoclassica del santuario mariano del Veuchio, meglio noto con l’appellativo di chiesa della Madonnina.

Secondo le cronache, il luogo fu teatro nel 1609 di un evento miracoloso di cui fu protagonista un sacerdote, don Bracco, il quale, andando a cavallo, cadde rovinosamente dalla sella rimanendo con il piede impigliato nella staffa. Dopo aver invocato l’intercessione mariana per uscire indenne da quella situazione, il sacerdote venne esaudito.
Sempre stando al racconto, il cavallo, calmatosi improvvisamente, si arrestò in località Veuchio, come fermato da una forza soprannaturale, consentendo al sacerdote di rimettersi in piedi, illeso. Proprio in quel punto, dove pare sorgesse già un pilone votivo con un’immagine mariana (Francesco Spegis, storico locale), don Bracco volle far erigere una cappella più grande che incorporasse il manufatto originario.
Al centro dell’altar maggiore, sopra il tabernacolo, è ancora oggi conservato un antico affresco, fulcro devozionale del santuario, che raffigura una Madonna con il Bambino affiancata da San Carlo Borromeo e Sant’Antonio da Padova. La Madonna, che sembra richiamare nell’iconografia la Beata Vergine di Oropa, è rappresentata mentre regge, con il braccio sinistro, il bambino e, con la mano destra, un cuore sormontato da una croce.

Producendosi, con il passar del tempo e con il diffondersi di testimonianze di guarigioni prodigiose, un flusso crescente di fedeli, in cerca di conforto spirituale e di grazie materiali, verso la fine del Settecento si prese la decisione di far costruire, sul luogo del miracolo, un vero e proprio santuario, inglobando naturalmente l’antico pilone e creando un ambiente molto più capiente e accogliente per i pellegrini.
I lavori, iniziati, si interruppero presto per mancanza di fondi, per poi riprendere nel 1834 quando, grazie all’attivismo ….., cominciò a prendere forma il maestoso edificio di chiara impostazione neoclassica che oggi possiamo ammirare e che venne progettato dall’architetto torinese Michelangelo Bossi (Claudio Cagliero in “L’architetto torinese Michelangelo Bossi”), ispirandosi alla famosa rotonda classica del Pantheon romano, ma anche alla coeva chiesa neoclassica della Gran Madre di Torino. La chiesa venne consacrata nel 1851, ma il cantiere si protrasse ancora, per il completamento del ricco apparato scultoreo e pittorico che orna l’interno.
Il visitatore che oltrepassi la soglia della chiesa rimane sorpreso dalla maestosità dell’ambiente, sormontata da un’ariosa cupola decorata a trompe l’euil con rosoni dipinti su soffitto cassettonato, a creare un effetto di tridimensionalità che amplifica illusoriamente gli spazi. Le statue colossali, collocate all’interno di nicchie lungo le pareti, rappresentano Mosè, San Giuseppe, Sant’Anna e San Giovanni Battista, e sono opera degli Augero, come anche la decorazione pittorica ai lati, lavoro mirabile di Amedeo Augero.

Gli Augero erano una famiglia di scultori e pittori, originaria proprio di Verolengo, ma conosciuta in tutto il Piemonte ottocentesco per la produzione artistica, di cui si conservano insigni testimonianze nelle altre chiese del comune.
Fu, invece, il pittore Mentasti a dipingere i sei riquadri posti sotto il cornicione della cupola maggiore, con episodi della vita della Vergine.
Come si legge sul sito internet del Santuario, un’antica tradizione del paese vuole che la fontana di acqua sorgiva sgorgante a pochi metri dalla facciata del santuario, sia dispensatrice di effetti benefici capaci di propiziare, in particolare, la guarigione di malattie legate agli occhi, come documentano alcuni ex-voto e racconti orali anche recenti.



