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Francesco Delpero, il bandito che nell’Ottocento seminò il terrore nel Roero

Tra i banditi che popolarono il Piemonte nell’Ottocento ve ne fu uno particolarmente temuto nelle campagne e nei paesi: Francesco Delpero, classe 1832, originario di Canale d’Alba. Dopo una gioventù difficile e aver lavorato – per poco e di malavoglia – a Racconigi come calzolaio, si dà al crimine e conosce le fredde mura della Castiglia di Saluzzo per due volte: la prima nel 1848, a soli 16 anni, sconta una condanna di un anno per un ferimento; la seconda, tra il 1853 e il 1854, conosce quell’Angelo Allegato in compagnia del quale verrà arrestato prima della condanna a morte. Ma i guai grossi arrivano durante il Carnevale del 1853, quando un litiga con la guardia Giacomo Frencia, ferendolo gravemente con un coltello.

Dopo sei mesi di latitanza, viene arrestato a Torino. Lo condannano a vent’anni di reclusione. Nei primi due anni passa da un reclusorio all’altro, sino ad approdare al bagno penale di Genova, dove la sua indole ribelle si scontra con la dura realtà carceraria. Qui, non potendo tollerare le condizioni di vita, tenta ripetutamente la fuga, fino a quando, il 1 maggio 1857, orchestra una violenta evasione insieme ad altri galeotti. Fingendo una rissa, i detenuti tentano di fuggire e nel parapiglia un guardiano viene ucciso. Quasi tutti i fuggiaschi vengo catturati nel giro di poche ore, ma Delpero riesce a dileguarsi. La sua fuga segna l’inizio di una vita da latitante.

Il manichino parlante di Delpero è esposto alla Castiglia di Saluzzo

Rifugiatosi tra monti e boschi, si dedica a razzie lungo le strade poco controllate e a rapine in cascine scarsamente sorvegliate. In pochi mesi organizza una banda con cui compie le classiche imprese dei malfattori di campagna. La gang deruba i viaggiatori, blocca diligenze e carri al ritorno dalle fiere, si intrufola di notte in cascine isolate, si scontra con i carabinieri. L’aspetto imponente del bandito, caratterizzato da un fisico robusto e una folta barba, contribuisce a far crescere la sua notorietà, rendendolo facilmente riconoscibile tra la popolazione. A Monteu Roero, il roerino compie un atto efferato uccidendo senza pietà un anziano contadino e cercando di incenerirne il corpo. A Pocapaglia, elimina brutalmente due giovani testimoni considerati pericolosi, mentre a Guarene infligge terribili torture a una donna con il coltello nella speranza di strapparle informazioni sul nascondiglio del denaro, provocandone la morte. La sua condotta violenta non gli garantisce il favore della gente, come avviene invece per Pietro Luigi Mottino, il Robin Hood del Canavese, di cui abbiamo parlato in un altro articolo. Gli oppositori del Governo Rattazzi utilizzano le gesta di questa banda violenta e senza scrupoli come simbolo di una cattiva gestione dell’ordine pubblico.

Il 5 agosto 1857, la fortuna di Delpero cambia nuovamente. Viene catturato in un’osteria a Vigone, dopo un lungo corpo a corpo con i carabinieri. In manette finisce anche un suo complice, Angelo Allegato di Gattinara. I due vengono portati a Pinerolo e successivamente trasferiti a Torino. Ha inizio l’istruttoria e come ci ricorda Milo Julini, “Delpero confessa soltanto pochissimi reati, non troppo compromettenti. Gli inquirenti raccolgono però prove consistenti che lo inchiodano ad alcune gravi imputazioni: l’uccisione del guardiano Bosio a Genova, la rapina a mano armata a danno del dottor Amidei sulla strada Savigliano-Lagnasco, l’assalto all’omnibus di Bra sulla strada Bra-Alba con conducente e viaggiatori derubati, la rapina con «barbaro omicidio» dell’anziano contadino Bartolomeo Bellis a Monteu Roero, con scempio del cadavere, l’uccisione a Pocapaglia di due ragazzi, Pietro Rivetto, vaccaro, e Agnese Brizio, entrambi di 12 anni, l’aggressione a 14 carrettieri di Bra sulla strada Bra-Carmagnola in località la Crocetta, la rapina in una cascina di Guarene, con uccisione di Delfina Scaparone Merlo, e l’assassinio di due carabinieri a Santa Vittoria. Delpero non fa nessuna rivelazione sui suoi complici”.

Gli inquirenti cercano di scoprire gli altri componenti della banda. In otto fiscono alla sbarra e un ruolo cruciale nelle accuse è svolto da Giovanni Aimasso (un pentito, come diremmo oggi) che racconta crimini e misfatti di Delpero, che continua a dichiararsi innocente. Perlomeno, dalle accuse più efferate. Durante il processo, Delpero mostra segni di disperazione, arrivando a tentare il suicidio in carcere. La sua ultima richiesta è quella di una condanna rapida, ritenendo che il suo destino sia già segnato.

La cattura di Delpero fu illustrata da Gennaro Amato nel libro “Alle porte d’Italia” di Edmondo De Amicis

La sentenza, emessa il 6 maggio 1858, risulta di cinque condanne a morte, inclusa quella di Aimasso, la cui pena viene successivamente commutata in lavori forzati a vita, quanto collaboratore di giustizia. La pressione dell’opinione pubblica sull’operato della giustizia è determinante per il verdetto. L’esecuzione avviene il 31 luglio 1858 a Bra, dove i quattro condannati a morte vengono portati in treno su vettura cellulare da Torino. A capeggiare i boia c’è il celebre Pietro Pantoni, che utilizza una forca costruita per l’occasione, costata alla comunità ben 90 lire dell’epoca.

Francesco Delpero, mantenendo un comportamento dignitoso fino alla fine, confessa di aver commesso ulteriori omicidi non precedentemente imputati a lui, lasciando un’ombra inquietante sulla sua figura e sul contesto sociale in cui opera. A ricordare diversi anni dopo la figura di Delpero sarà Edmondo De Amicis in un capitolo del suo volume  Alle porte d’Italia (1892). Lo scrittore, passeggiando per Pinerolo, legge l’annuncio di un teatro di marionette: “Questa sera si rappresenta: Le gesta e avventure del famoso bandito Delpero da Canale arrestato dal vice brigadiere dei carabinieri Luigi Gamalero, attualmente in riposo a Torre Pellice”. Incuriosito decide di intervistare il brigadiere in pensione, come ci ricorda Julini: “Dall’arresto sono passati circa venticinque anni. De Amicis si reca a Torre Pellice per intervistare il Gamalero e ne ottiene una colorita narrazione. Il racconto di De Amicis, ed anche testimonianze assai più vicine a noi, riferite a Guarene, ci provano l’esistenza di un teatro di marionette e burattini ispirato a Delpero”.

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