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Alla scoperta di Lanzo, tra santi, diavoli e acque miracolose

Lanzo è oggi una cittadina nella quale fervono attività culturali e folkloristiche, ma non è sempre stato così. Nello scorso secolo, e già dalla fine del Milleottocento, l’agglomerato, dopo la costruzione della ferrovia, era diventato ambita meta turistica a costi contenuti, nella quale trovare aria buona e la possibilità di fare camminate.

Nel Medioevo invece le mura cingevano le poche arroccate strade e la vita era scandita da fiere, mercati e attività legate all’artigianato e alla pastorizia; i lanzesi godevano di privilegi speciali, come l’esonero dal servizio militare oltre le Alpi, concessi dalla marchesa Margherita di Savoia nel 1305. Nel 1377 venne costruito un ponte, chiamato poi “del diavolo”, perché si credeva che il satanasso potesse costruire ponti in cambio delle anime di coloro che sarebbero passati per primi sul ponte, ma i lanzesi lo ingannarono facendo passare un cane. Spesso nelle leggende il diavolo viene turlupinato dagli uomini, che evidentemente sono più furbi del maligno!

Vicino al ponte si trovano le “marmitte dei giganti”, conche nella roccia dovute all’azione di erosione delle acque, che unitamente alla sabbia e ai ciottoli, ha creato, con il passare del tempo, delle fosse circolari di diverse dimensioni. Quella più grande misura sette metri e cinquanta e la leggenda racconta di come, nei tempi antichi, quei buchi fossero le tavole dei giganti, e dove ancora oggi si possono vedere le tracce delle unghie dei mostri che raccoglievano fino alle ultime  briciole del loro pasto.

È incredibile pensare che nel 1377 Lanzo avesse 3500 abitanti, quando Torino ne contava “solo” 4200. Pare inoltre che la vita alpina incidesse sul fisico positivamente: “Gli abitanti delle Valli di Lanzo sono sani, robusti, di bella corporatura, e non di rado di belle fattezze. A Viù, Usseglio, ad Ala, a Balme, incontransi tipi di uomini e di donne dal profilo corretto, dal portamento nobile e spigliato, dal volto simpatico e gioviale. Oltrediciò sono rare le malattie, le deformità e l’idiotismo, essendo l’acqua e l’aria eccellenti dappertutto. Quanto all’indole sono allegri, vivaci, di svegliato ingegno, affabili con tutti, generosi e servizievoli, amanti del vino, delle feste e dell’allegria”, si legge nel Dizionario Geografico di Casalis.

Nei libri un po’ datati si trovano delle descrizioni curiose della cittadina, che ribadiscono il suo fascino bucolico e la mettono a paragone con la Svizzera. Sicuramente i promontori, i picchi, le insenature delle valli di Lanzo sono particolarmente memorabili.

Pare che il primo viaggiatore che ne fece menzione fosse un tal Albanis Beaumont che le visitò nel 1782 e pubblicò la Description des Alpes Grecques et Cottiennes; poi, vennero, il Ponsillon col suo libro: Voyage aux Vallées de Lanzo, pubblicato nel 1790, e il conte Luigi Francesetti di Mezzenile con le Lettres sur les Vallée de Lanzo, pubblicate nel 1823; ma a quei tempi, dice l’autore: “Le strade tutte erano un supplizio pel viandante oltredichè si stava assai male di alberghi…. quando se ne trovavano”.

Luigi Cibrario (1802–1870), storico e letterato torinese che amava queste verdeggianti valli, fece ricerche approfondite sulle storie e leggende che caratterizzavano questi luoghi che fino a poco tempo prima erano isolati rispetto alla vicina ma non troppo città di Torino.

La vera differenza la fece però il Club Alpino Italiano aveva che con l’inserimento nei bollettini delle imprese alpinistiche, aveva largamente contribuito a far conoscere nei suoi Bollettini i piccoli e sconosciuti luoghi dove si poteva camminare, scalare e passare le vacanze.

Sul Monte Bastia, a ovest di Lanzo, a 900 metri d’altezza, si trova il Santuario di sant’Ignazio, non visibile dalla cittadina. La prima cappella fu costruita nel 1629, e fu dedicata a  Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti, poiché le cronache riferiscono che il santo apparve sul Monte Bastia a due coniugi, dicendo loro di costruire una chiesa a lui dedicata. A dire il vero c’è anche una seconda leggenda che sostiene che il santo protesse Lanzo da un’invasione di lupi, evento che si verificava normalmente, poiché questi animali erano molto diffusi e costituivano un pericolo per le persone e per gli animali.

La strada per arrivare al Santuario, venne costruita nel 1843 con una raccolta fondi di 200.000 lire; un importo piuttosto elevato, perché si dovette anche costruire un torrente artificiale per la raccolta delle piogge che altrimenti avrebbero purtroppo rovinato la carreggiata appena costruita.

In un altro testo turistico ottocentesco troviamo la descrizione delle famosa fontana di Lanzo: “Da qualunque parte si arrivi a piedi, si perviene presso la borgata di Tortore ai piedi dell’ultimo tratto di salita. Una svolta guida ad una piccola spianata presso la quale è la casa d’un sacerdote e un pozzo che fornisce acqua freschissima e salubre a tutto il Santuario. Si salgono ancora due scale e si sbocca su una piazzetta dirimpetto la facciata del Santuario”.

Ancora oggi in quel punto si trova una fontana, che, incastonata in un muretto di pietra è diventata un rito di passaggio per i pellegrini che si recano al santuario. Vi si trovano anche gli abitanti di Lanzo, che tranquillamente in fila, aspettano il loro turno per raccogliere quelle si dice siano acque benefiche e curative con bottiglie e pintoni vuoti.

Attaccati al muretto a secco si possono anche vedere degli ex-voto che le persone che ritengono di essere state guarite hanno attaccato. Il culto delle acque è estremamente antico e queste pratiche dimostrano che non si è affievolito con il passare dei secoli, anzi, viene in qualche modo ricordato e portato avanti nel tempo.

L’interesse di luoghi come Lanzo, posta all’ingresso delle valli di Lanzo e crocevia di passaggio da sempre, è anche in questo: nella conservazione delle credenze popolari che affiorano dalla semplicità della natura e dagli atti che seppur soppiantati dalla modernità, hanno lasciato un’eco duratura, che aspetta di essere raccolta di ha la capacità di sentire…

Articolo di Katia Bernacci
Fotografie di Marino Olivieri

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