
A 76 anni dalla tragedia di Superga il mito degli “Invincibili” continua ad aleggiare su Torino
Il 4 maggio, come ogni anno, i tifosi granata si ritrovano a Superga per commemorare, ed onorare, i campioni del Grande Torino morti nello schianto dell’aereo che li trasportava a casa dopo la trasferta a Lisbona. Ecco, in poche righe, il racconto di quei giorni del 1949.
Successe tutto per un caso, una prova di amicizia, il desiderio di una piccola vacanza in compagnia, il piacere di onorare la parola data, la necessità della società di dimostrare di essere ormai un club importante e di riferimento nel panorama europeo. Il Torino parte per Lisbona domenica primo maggio. La società ha accettato con felicità la trasferta per il Portogallo, proposta da Capitan Valentino che, alla fine della partita tra Italia e Portogallo viene avvicinato dal capitano lusitano Francisco Ferreira: “A fine stagione lascio il calcio e vorrei organizzare una partita di addio per chiudere la mia carriera. Sai il Benfica ha promesso di lasciarmi una grossa fetta dell’incasso e se veniste voi, che siete la squadra più famosa d’Europa ci sarebbe molto pubblico”. Naturalmente i due capitani si stringono la mano. Mazzola è un grande uomo e propone al Presidente Novo la trasferta. Lui, da poco diventato dirigente e commissario tecnico della Nazionale che si sta preparando ai Mondiali del 50, si lascia coinvolgere nel progetto. Le società si mettono d’accordo, l’amichevole si farà il 3 maggio. A scudetto ormai praticamente vinto, il Toro può partire. Sull’aereo in partenza per Lisbona trovano posto, oltre a tutti i titolari, qualche rincalzo, i dirigenti accompagnatori, il massaggiatore e alcuni giornalisti sportivi di fama. A casa restano Sauro Tomà, terzino infortunatosi al ginocchio, il secondo portiere Renato Gandolfi, a cui viene preferito per le insistenze del fratello Aldo il terzo portiere Dino Ballarin e, per una influenza improvvisa, il presidente Novo. A Lisbona i granata sono accolti da trionfatori, i capitani si abbracciano sulla pista di atterraggio, al pomeriggio sono ospitati dal sindaco tra gli applausi della folla festante. Il giorno dopo, in campo, più di quarantamila persone affollano lo stadio. C’è gente dappertutto, fino ai bordi del campo. Giocano tutti i titolari tranne Maroso e Gabetto. Nei primi 20 minuti lo spettacolo offerto dai granata è esaltante, poi la stanchezza impone un minimo di cavalleria e alla fine vincono i Lusitani con un gol nei minuti finali. Ma non importa. La squadra si è divertita ed ha fatto un’opera di bene, compresa e ammirata da tutto il mondo del calcio. I giocatori tornano in albergo per la cena ufficiale, Ferreira riceve regali da tutti ed è felice come non mai. Tutta Lisbona si inchina ed applaude.

Nessuno può pensare che questa squadra di campioni possa essere fermata ma il 3 maggio del 1949, proprio a Lisbona il Grande Torino ha giocato la sua ultima partita. Il mattino del 4 maggio l’aereo trimotore G 212 FIAT I-ELCE lascia Lisbona tra ali di folla. Dopo una sosta tecnica a Barcellona riparte per Torino. Giunge sui cieli del Piemonte immersi in un clima quasi autunnale. Su Torino incombe una cappa nera di nuvole basse, nebbiose, che si aprono a violenti scrosci di pioggia. Alle 17.02 il radio faro dell’Aeroporto dell’Aereonautica di Torino riceve il messaggio dall’aereo “IMM.-I-ELCE-R-OK-GM-S-L.” “a Torino da I ELCE ricevuto, sta bene, grazie mille, saluti “. Alle 17.05, per cause mai chiarite, l’aereo si schianta contro il muro che sorregge il terrapieno dietro la Basilica di Superga, avvolgendo tra le fiamme le vite di tutti i passeggeri.
31 persone persero la vita, ecco i loro nomi, e tra parentesi la loro età:
Giocatori: Valerio Bacigalupo (25), Aldo Ballarin (27), Dino Ballarin (23), Emilio Bongiorni (28), Eusebio Castigliano (28), Rubens Fadini (21), Guglielmo Gabetto (33), Ruggero Grava (27), Giuseppe Grezar (31), Ezio Loik (29), Virgilio Maroso (29), Danilo Martelli (25), Valentino Mazzola (30), Romeo Menti (29), Pietro Operto (22), Franco Ossola (27), Mario Rigamonti (26), Julius Shubert (27).

Tecnici: Ernst Egri Erbestein (51), Leslie Lievesley (38), Ottavio Cortina (52).
Dirigenti: Riccardo Agnisetta (56), Ippolito Civalleri (66), Andrea Bonaiuti (35).
Giornalisti: Renato Casalbore di Tuttosport (58), Luigi Cavallero de La Stampa (42), Renato Tosatti della Gazzetta del Popolo (41).
Equipaggio: Pier Luigi Meroni pilota (34), Cesare Biancardi secondo (35), Antonio Pancrazi marconista (42), Celeste D’Inca motorista (43).
Quello che successe a Torino quel giorno, dopo le 17.30, quando le voci del disastro divennero notizia è, per noi abituati ai ritmi frenetici ed insensibili della vita moderna, qualcosa di insostenibile e forse incomprensibile. Tutta la città si fermò, sgomenta. Una folla disperata di giovani alle prime scarse notizie si incamminò verso la collina, tutti increduli, volevano vedere, piangere, cercare di aiutare. Si chiusero i negozi, si pianse nelle vie. La città intera, presa la consapevolezza della disgrazia, si sentì colpita a morte. Sotto il temporale, sul crinale della collina, tra il muro della Basilica ed i rovi del bosco è Vittorio Pozzo, uno dei primi ad arrivare e uno dei pochi a mantenere nella disperazione un barlume di lucidità, a ricomporre e riconoscere dai pochi resti i corpi brutalmente mutilati. Mentre arrivano in tanti, le nuvole si aprono. Bastavano venti, trenta metri e l’aereo avrebbe trovato strada libera, aperta senza ostacoli per scendere sulla città. La causa vera dell’incidente non fu mai chiarita, e forse nessuno volle cercarla con insistenza. Non si potevano fare accuse su incidenti meccanici (l’aereo era un Fiat) e nemmeno sulle capacità del pilota Meroni che era stato un eroe della Seconda Guerra Mondiale. Ma non importa, questa volta era stato il caso a stroncare le vite di quei ragazzi. Il 5 maggio tutti i giornali d’Italia cedettero la prima pagina al tragico evento ed il mondo intero partecipò con dolore al lutto improvviso. Piansero gli sportivi e gli appassionati, piansero le mamme per le giovani vite, le mogli per i giovani mariti ed i figli per i loro padri. Piansero i compagni rimasti a casa, miracolati dagli infortuni o dal caso. Indro Montanelli scrive nel giorno dei funerali “Gli eroi sono sempre immortali negli occhi di chi in essi crede, e così i ragazzi crederanno che il Grande Torino non è morto, è soltanto in trasferta.
Claudio Calzoni
Dal libro “I Luoghi del Toro” (Yume Book, Torino, 2019)