PRIMO PIANOSTORIE DA RACCONTARE

La tragica fine delle sorelle Arduino (marzo 1945), diventate un simbolo della Resistenza

TORINO. La notte dell’11 marzo 1945 segnò un capitolo tragico nella storia italiana, un momento in cui la resistenza e brutalità si scontrarono, sfociando in un drammatico epilogo. Le sorelle Libera e Vera Arduino, simboli di coraggio e determinazione, furono catturate nella loro casa di via Moncrivello 1 da fascisti che si finsero partigiani e che erano capeggiati da uno studente di medicina, Aldo De Chiffre. Questo atto di violenza non colpì solo le due giovani torinesi, ma coinvolse anche il padre Gaspare, un ospite, Alberto Ellena, e due vicini di casa, Rosa Ghizzone e Mario Montarolo. Al pari del padre e di Mario, che vennero fucilati quella stessa sera, anche per Vera, Libera e Rosa era scritto un tragico destino.

Così ricordò, anni fa, quella tragica sera la terza sorella Bruna: «Dopo cena bussano alla nostra porta, al quarto piano. Era Rosa Ghizzone, con lei ci sono il marito Pierino Montarlo, che aspetta in strada, e altri due uomini sconosciuti. Anche Rosa è una staffetta, dice a mio padre che quegli uomini vogliono andare in montagna con i partigiani, che hanno bisogno del suo aiuto. Pochi attimi, poi i due, appena vedono chi c’è in casa, si rivelano per quello che sono: tirano fuori le armi e ci mettono tutti al muro. Mia mamma Teresa era fuori, sul balcone, e rientrando ci vede tutti con le mani alzate; io, che avevo solo tredici anni, tremavo come una foglia. Allora mi viene vicina, mi prende per i polsi e mi dice: “Stai calma Bruna, non è niente”. A questo punto i due uomini con il mitra fanno uscire tutti lasciando in casa solo me, mia madre e mio fratello Antonio, di sei anni, che era stato messo a dormire nell’altra camera. Portano via mio padre, le mie sorelle, il partigiano Aldo De Carli, che si trovava a casa nostra quella sera, Rosa con suo marito, e l’amico Alberto Ellena, che era venuto a prendere mio padre per portalo a dormire a casa sua, perché in quei giorni il clima a Torino era pesante, e c’era paura che qualcosa accadesse… Ricordo che uno dei fascisti prima uscire di casa si rivolse alla mia mamma dicendole: “Signora non urli, stia calma che noi non facciamo del male”… Non li ho mai più visti. Mia madre li ha cercati per tutta la notte nelle caserme di Torino pensando fossero stati arrestati, invece quella stessa notte vennero uccisi per strada e scaricati in diversi punti della città. Una cugina ci avvisò che i loro corpi erano all’Istituto di medicina legale»

Vera, 27 anni, Libera (23) e Rosa (25) furono condotte prima alla casa Littoria di via Carlo Alberto, dove rimasero per un giorno, per essere interrogate. Poi, nella notte tra il 12 e il 13 marzo furono condotte dai loro aguzzini sulla sponda del canale della Pellerina. Qui subirono violenze prima di essere fucilate. Rosa, incinta, con un atto di straordinaria determinazione, riuscì a gettarsi nelle acque del canale, cercando di sfuggire a un destino orribile.

La famiglia operaia degli Arduino aveva una lunga tradizione di militanza comunista. Il padre, Gaspare, operaio alla Fiat, e la madre, Teresa, lavoratrice alla Manifattura Tabacchi, avevano instillato nei loro figli il valore della lotta per la giustizia. Vera e Libera, unite dalla passione per la libertà, avevano abbracciato la causa partigiana, diventando un esempio di resistenza contro l’oppressione nazifascista.

Così Miriam Mafai ricorda le esequie nel suo volume “Pane nero: donne e vita quotidiana nella seconda guerra mondiale” edito da Mondadori:  «Per il funerale delle Arduino alcune fabbriche hanno mandato delegazioni, altre durante i funerali si sono fermate. Alla Paracchi, la fabbrica dei tappeti, una ragazza è salita sul tetto e ha messo la bandiera rossa. Un compagno elettricista, che era nelle SAP, aveva staccato tutti i fili d’allarme perché i fascisti non chiamassero i rinforzi. Questa ragazza ha anche parlato là dentro alle operaie, poi l’abbiamo fatta scappare”. “Ricordo quando ho partecipato ai funerali delle Arduino. Io tenevo sotto braccio mamma Arduino che sembrava inebetita, seguivano l’altra bambina Bruna e poi molte donne e uomini. Per via Catania abbiamo visto venirci incontro un operaio in bicicletta che gridava: “Gli uomini fuggano tutti perché davanti al cimitero ci sono i fascisti, ce ne sono già due camion carichi”. Così gli uomini si sono allontanati, davanti al cimitero siamo arrivate solo noi donne».

Dopo il conflitto, Aldo De Chiffre fu condannato all’ergastolo per i crimini commessi quella notte, ma scontò solo parte della pena. In carcere, si dedicò agli studi e conseguì la laurea in medicina. Una volta uscito di prigione intraprese la carriera di medico.

Anni dopo, Bruno Arduino, fratello delle sorelle Vera e Libera, lo incontrò casualmente durante una donazione di sangue. Per Bruno, rivedere Aldo fu devastante, poiché la libertà di quest’ultimo rappresentava una ferita aperta per lui e per tutta la sua famiglia.

A Vera e Libera Arduino è dedicata una via cittadina, una lapide in corso Lecce e un istituto superiore statale.

Piero Abrate

Piero Abrate

Giornalista professionista, è direttore di Storie Piemontesi. In passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. E’ stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino e direttore del portale regionale di informazioni Piemonte Top News.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio