LINGUA PIEMONTESE

Quel curioso modo tutto piemontese per dire “che ora è”

Ai miei tempi, l’occasione di ricevere in dono il primo orologio da polso era quella della Prima Comunione o della Cresima. Una sorta di tappa obbligata per ottenere la qualifica di “ometto”, che coincideva con quella in cui si entrava a far parte integrante e attiva della comunità religiosa. In altre parole, il momento carismatico in cui si diventava un mattone vivo della Chiesa. E quell’orologio al polso, come la catenina d’oro con il volto di Maria o dell’Angelo Custode ne erano rispettivamente la controprova, rispettivamente, laica e divina.

Ma prima di allora, che tormento! Noi nati attorno alla metà dello scorso secolo, provavamo da piccoli una strana percezione dello scorrere del tempo, come se fosse eternamente sospeso (chissà se è ancora così per i bambini di oggi), e quando ci si rivolgeva a mamma o papà per chiedere l’ora, era solo perché sentivamo in fondo allo stomaco quel languorino che confermava che era vicino il momento di fare merenda. Il cosiddetto orologio nello stomaco. E ci sentivamo frustrati quando la risposta era: A l’é ora ch’it cate na mostra! Oppure: L’ora d’jer a st’ora: nì pì tard nì pì bonora. Qualche volta rispondevano così perché erano in vena di fare un po’ i mattacchioni. Ma più spesso succedeva quanto i nostri genitori erano impegnati in altre faccende, oppure quando la nostra domanda veniva proferita in un momento giudicato inopportuno.

Ma come si esprime l’ora in Piemontese? Bisogna ammettere che noi Piemontesi siamo molto originali in tal senso.

Per le prime tre ore dopo il mezzogiorno o dopo la mezzanotte, usiamo la parola “bòt”, che in italiano potrebbe essere resa con il termine “botti”, “rintocchi”.

Ad esempio: A l’é già ‘n bòt: è già l’una. A son doi bòt: sono le due. A l’é tre bòt e vint: sono le tre e venti. Si noti che, come in Italiano, per la prima ora, l’impersonale si possa usare solo alla terza persona: a l’é ‘n bòt e mes, o anche: a l’é mes bòt (cioè: è l’una e mezza; è la mezza). Per le altre ore si può usare indifferentemente sia la terza persona singolare, sia la terza persona plurale: a l’é già tre bòt, a son già tre bòt.

Però dalle quattro (del mattino o del pomeriggio che sia) l’ora non si esprime utilizzando il termine bòt, ma usando il termine ore: quatr ore, quatr e ‘n quart, sinch ore e mesa, sinch meno ‘n quart, des ore ‘d sèira, ses ore dla matin, e così via.

Come sia nata questa maniera di chiamare le ore in modo diverso a seconda del momento della giornata resta sostanzialmente un mistero. Secondo il piemontesista Gianni Cordola:  “L’origine del termine bòt deriva dal rintocco delle campane. Ma perché solo le prime tre ore vengono così chiamate e le altre no? Difficile rispondere con certezza. È probabile che questo modo di indicare le ore sia legato alle abitudini della vita contadina: le ore comprese da mezzogiorno alle tre sono sicuramente quelle più calde della giornata, nel corso delle quali è indispensabile una pausa rigenerante per poi riprendere il lavoro nel pomeriggio, fino a sera. Può dunque essere utile distinguerle dalle altre”.

Si noti ancora che il termine ore non può mai venire omesso con le ore piene: a l’é set ore, a son neuv ore; ma può essere sottinteso quando le ore non sono piene: Che ora a l’é? Des e tre quart! Ma se sono le undici meno venti, si deve rispondere: vint minute a ondes ore! E ricompare il termine ore.

Il tema ci induce ad approfondire il vocabolario piemontese attinente alle “mostre”, cioè agli orologi. La mostra (da mostré, mostrare) può essere quella che si porta al polso, o anche quella che si portava al taschino, ma anche un orologio da tavolo. Se l’orologio dispone di una suoneria per montarci la sveglia al mattino, allora quella mostra si chiamerà più propriamente dësvijarin. Gli orologi a parete sono chiamate péndole (femminile). Gli orologi solari si chiamano, come in italiano, meridian-e.

Insomma: la Lingua piemontese si rivela come sempre ricca di sorprese… sorprendenti. Più la si conosce, più ci piace.

Sergio Donna

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, Sergio Donna è Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura. È autore di romanzi, saggi e poesie, in Lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio ha pubblicato le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni di Palazzi torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino", "Statue di Torino", "Ponti di Torino" e "Caffè e Locali storici di Torino". Tra le sue raccolte poetiche, ricordiamo "Lines", "Laeta Carmina", "Sonetti" e "Metrica | mente" (in Lingua Italiana), e "Cerea" (in LIngua piemontese). Ha scritto inoltre i romanzi "Il trionfo della bandiera" e "Lo scudetto revocato". Come giornalista, ha collaborato diversi anni con il quotidiano on line "Piemonte Top News" e con la rivista "Torino Storia". Attualmente scrive per "Storie Piemontesi" e per i mensili "Vagienna" e "Piemontèis Ancheuj". È docente di Lingua e Letteratura Piemontese all'Unitre di Torino e di altre Sedi decentrate. Per Monginevro Cultura, Sergio Donna cura da tempo le edizioni annuali dell' “Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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