LINGUA PIEMONTESE

Con il vino meglio non esagerare, per non diventare “cioch come na bija”

Per esprimere uno stato mentale alterato dall’alcool, dalla leggera ebbrezza alla più pesante ubriacatura, la lingua piemontese offre una pleiade di espressioni, di cui in questo articolo – dedicato ai romantici appassionati dell’idioma subalpino – offrirò una selezione.

Intanto, il termine ubriaco, in piemontese diventa “cioch”, e l’ubriacatura diventa “la cioca” (non è raro, almeno in Piemonte, sentire pronunciare di tanto in tanto il vocabolo “ciucca”, che è – appunto – un evidente piemontesismo).

I termini cioch e cioca rappresentano però solo la base di partenza della nostra breve disamina, ovvero il livello basico da cui iniziare ad esplorare una serie di parole e locuzioni verbali con cui vogliamo dare un’idea della quantità più o meno abbondante che della bevanda di Bacco è stata assunta da un bevitore. Il registro di queste espressioni parte infatti da voci che potremmo definire elementari e leggére, per diventare via via più argute ed onuste, senza mai rinunciare alla metafora però, com’è tipico della cultura e dell’idioma piemontese.

Lo stato di “alégher”, ovvero l’essere ‘allegri’, significa aver raggiunto quel primo livello di euforia che in genere ci pervade dopo aver bevuto qualche bicchiere di vino, magari uno spumante in occasione di una festa in famiglia o di una ricorrenza tra amici. Ma qui siamo ancora nei limiti della tolleranza e della moderazione.

Più si beve, e più i termini di riferimento diventano pesanti. Se si perde il senso del controllo, e si continua a tracannare bicchieri, quella gioiosa euforia può trasformarsi in cioca e, da cioca, in piomba. La piomba è un’ubriacatura decisamente pesante, come il termine bene esprime.

Lo stato di ubriacatura non si smaltisce in pochi minuti. A volte bisogna dormirci su, e il suo strascico può protrarsi per ore, prima che la mente riacquisti la sua totale lucidità e lucentezza.  Così, avèj la sumia (letteralmente: avere la scimmia) significa trovarsi proprio in quella fase di totale opacità mentale, sonnolenza, se non di delirio, conseguente agli eccessi delle libagioni.

Cioè quando si è diventati “cioch come na bija”, ovvero ubriachi come una biglia. Espressione pittoresca di un’efficacia assoluta, che rende perfettamente l’idea della camminata incerta e a zig zag di chi è in preda ai fumi dell’alcool.

Sempre in tema di ubriacature pesanti, ricordo ancora un’altra espressione (molto diffusa anche nel gergo degli alpini, almeno quando la naja era obbligatoria): esse an pista (essere in pista). Si addice a chi, nonostante aver bevuto oltre misura, non vuol ammettere di essersi abbandonato agli eccessi del vino, ma la sua camminata incerta e vacillante e il suo modo strascicato di parlare lo smentiscono in modo inequivocabile.

In vino veritas, certo. Però, non esageriamo, nèh. Esageroma nen!

Sergio Donna

Post scriptum

A proposito di vino, propongo ai Lettori di Storie Piemontesi questi miei versi un po’ “allegri”

Bareul chinà
(Un vin da meditassion)

Un bicer ëd bareul, col chinà,
l’hai tastà, l’hai gustà, da setà:
ël color l’era col dël rubin
bërlusent, trasparent, cristalin.

L’hai sentù ël parfum ëd la china,
cardamòm, ëd gensian-a, ’d boschin-a…
l’hai gustalo co’ ’l doss, co’ ’l bonèt:
che binòmi – mondial! – l’é përfet!

I son dime: ël bareul, col chinà,
a së sposa co’ ij pì fin palà:
medité ansema chiel l’é ’n piasì;
meditand, anciocame i son mi.

N’àutr bicer ëd bareul l’hai versà:
co’ ’l bareul, col chinà, l’hai brindà;
ël mè càles al cel l’hai aussà:
stasìa an pé, ma con j’euj già an-nebià.

Che ’d goblòt mi i l’hai ciupinà!
Dive vàire, mi nò, lo sai pa;
servìa pa ch’i dovrèissa ambossor:
come sava a andasìa col licor.

Peui për tera i son stravacame,
ël bicer bele veuid l’é drocame,
sël pavé son restà lì amplucà
l’hai ronfà pì ’d ses ore cogià.

(SD)

Glossario:
cardamòm: cardamomo (spezia); boschin-a: bosco (di piccola estensione); bonèt: tipico dolce piemontese al cioccolato, simile al budino, ideale come fine pasto; palà: palato; càles: calice; an-nebià: annebbiati; goblòt: gotto, bicchiere; ciupiné: bere copiosamente, ingurgitare; ambossor: imbuto; licor: giulebbe, liquore; stravachesse: sdraiarsi sgraziatamente; droché: cascare; ampluchesse: addormentarsi; ronfé: russare; cogià: coricato

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, Sergio Donna è Presidente dell’Associazione di volontariato culturale Monginevro Cultura. È autore di romanzi, saggi e poesie, in Lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio ha pubblicato le monografie “Torèt, le fontanelle verdi di Torino”, “Portoni di Palazzi torinesi”, “Chiese, Campanili & Campane di Torino”, “Giardini di Torino”, “Fontane di Torino”, “Statue di Torino”, “Ponti di Torino" e "Caffè e Locali storici di Torino”. Tra le sue raccolte poetiche, ricordiamo “Lines”, “Laeta Carmina”, “Sonetti”, "Metrica | mente" e “Kairos” (in Lingua Italiana), e “Cerea” e “Tóira e ritória” (in Lingua piemontese). Al suo attivo, anche una raccolta bilingue (italiano e piemontese) in quattro volumi di 400 poesie brevi di stile giapponese, dal titolo "Ciameje nen haiku | Non chiamateli haiku”. Ha scritto inoltre i romanzi “Il trionfo della bandiera” e “Lo scudetto revocato”. Come giornalista, ha collaborato diversi anni con il quotidiano on line “Piemonte Top News” e con la rivista “Torino Storia”. Attualmente scrive per il quotidiano on line “Storie Piemontesi”, per i mensili “Vagienna” e “Piemontèis Ancheuj” e per il periodico “Savej”. È fondatore dei Premi Letterari Internazionali “Lampi di Poesia | Slussi ’d Poesìa”, “Jucunde docet” e “Poesia Granata”, per poesie e racconti in Lingua italiana e Lingua piemontese. È anche Autore di testi di canzoni in piemontese, musicate da noti chansonnier del territorio, ed è docente di Lingua e Letteratura Piemontese all’Unitre di Torino e di altre Sedi decentrate. Per Monginevro Cultura, Sergio Donna cura da tempo le edizioni annuali dell’ “Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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