CRIMINI & MISFATTIPRIMO PIANO

Maria Teresa Novara, un omicidio atroce che a distanza di oltre mezzo secolo chiede giustizia

È una gelida notte invernale del 1968, quando fine anno si avvicina e tutti i ragazzi attendono con ansia l’arrivo delle vacanze natalizie. Tra il 15 e il 16 dicembre, la vita di Maria Teresa Novara, una ragazza di soli 13 anni, cambia per sempre. Quello che si preannunciava come un periodo di festa si trasformava in un incubo. La sua scomparsa diventa uno dei casi più inquietanti della cronaca nera del Dopoguerra, caratterizzato da colpi di scena, mistificazioni e responsabilità negate.

Nata il 10 marzo 1955 a Cantarana (At), Maria Teresa vive con i genitori e tre fratelli in un contesto rurale semplice e modesto. Per facilitare il percorso scolastico di cinque chilometri, trascorre la settimana dagli zii, gestori di una tabaccheria. La ragazza, esile e timida, è una studentessa modello con l’ambizione di diventare dattilografa. La sua vita quotidiana è contrassegnata da normali attività da adolescente: Santa Messa la domenica, aiuto in tabaccheria e serate trascorse guardando la televisione con i familiari.

All’alba del 16 dicembre, gli zii di Maria Teresa la cercano per mandarla a scuola, ma la sua camera è deserta. E’ scomparsa senza lasciare traccia, svanita nel nulla. Gli investigatori trovano una scala appoggiata al terrazzino e impronte nel cortile, ma l’assenza di segni evidenti di fuga lascia aperte diverse ipotesi. È un rapimento o una fuga volontaria? Le ricerche iniziano subito, ma il mistero si infittisce.

Le ricerche si estendono a cerchi, distributori di benzina e aree circostanti, ma senza risultati. La famiglia di Maria Teresa vive in un clima di angoscia, amplificato dalla pressione mediatica che non risparmia nessun dettaglio. In un contesto di sospetti e interrogatori, il caso diventa un vero e proprio “giallo” nazionale. Nei giorni successivi, emergono segnalazioni di avvistamenti della ragazza e alcune lettere apparentemente scritte da Maria Teresa, che tentano di rassicurare i genitori. Tuttavia, esperti di grafologia hanno seri dubbi che si tratti della scrittura della ragazza. In una di queste viene imbucata a Milano ed è datata 7 aprile. Il quotidiano La Stampa scrive: “Maria Teresa ha scritto sotto dettatura: forse è prigioniera” L’esame del perito calligrafo conclude che la stesura della lettera sia avvenuta “in condizioni psicologiche anormali, derivanti da stanchezza, malattia o ingestione di stupefacenti. “Deciso ad andare fino in fondo, Bozzola dichiara: “Voglio trovare Maria Teresa, viva o morta che sia…”. 

Un’inquietante telefonata giunge alla famiglia da Berna, in Svizzera. Un uomo, che parla italiano, dice: “Maria Teresa sta bene. State tranquilli”. Forse si tratta di un mitomane, ma si muove anche l’Interpol. Il “giallo” si infittisce ulteriormente e spuntano diverse sosia.

Bisognerà attendere ancora mesi di silenzio, angoscia e illusioni, finché il 5 agosto 1969 la vicenda imbocchi una svolta decisiva: due balordi con precedenti penali, alla guida di un camioncino, rubano in un distributore di benzina, sulla strada per Chieri. Vengono intercettati e inseguiti dai carabinieri, fino al Valentino, a Torino, dove lasciano il mezzo, fuggono a piedi e si buttano nel Po, duecento metri più a valle del ristorante San Giorgio.  Annaspano nell’acqua del fiume. Uno muore e verrà ripescato cadavere dai sommozzatori nei pressi del Borgo Medievale, l’altro è arrestato sullo sponda opposta del fiume davanti alla Gran Madre. Nessuno ricollega l’episodio alla scomparsa di Maria Teresa Novara. Il morto è Bartolomeo Calleri, 34 anni, originario di San Michele di Mondovì, pregiudicato, senza fissa dimora, ma con recapito a Chieri. E’ noto nelle campagne monregalesi, già a 19 anni, come il “rapinatore solitario,” e a Canale come “Berto l’americano,”. All’attivo ha varie condanne e molteplici capi di imputazione in Italia e Francia. Viene fuori che da circa due anni aveva acquistato la Barbisa, una cascina diroccata, nelle campagne di Canale, trasformata in una sorta di rifugio. Il complice catturato è Luciano Rosso. In un primo momento, fornisce una falsa identità del Calleri, dice di averlo conosciuto da poco, di fatto rallenta le indagini e fa perdere tempo prezioso agli inquirenti. Poco più che trentenne, Rosso è nativo di Canale d’Alba, ma risulta residente a Beinasco. Alle spalle ha un matrimonio fallito e diversi precedenti per furti e rapine. 

In tasca al morto scoprono i carabinieri scoprono una ricevuta in c’è scritto il recapito del Calleri. Vanno alla cascina Barbisa ma al primo sopralluogo non scoprono nulla. Ci vorranno alcuni giorni per scoprire che sotto una botola è stato ricavato un angusto seminterrato. Dentro, morta da poche ore, c’è Maria Teresa Novara. Probabilmente se quel nascondiglio l’avessero scoperto il giorno prima avrebbero trovato la ragazza ancora viva. Sicuramente qualcuno nei giorni che hanno preceduto la morte le ha portato da mangiare, dato che viene ritrovato un panino e un altro mangiato a metà. Gli inquirente scoprono che qualcuno ha chiuso con dei fogli di giornale le prese d’aria della cella, trasformando quel luogo infernale in una tomba.

Maria Teresa è riversa su un fetido pagliericcio. Il suo carceriere prima di andarsene l’aveva legata con una catena di circa un metro alla caviglia. Di fianco alla branda un bottiglione vuoto e un secchio usato come latrina, circondata da giornalini di Diabolik sui cui margini la ragazza ha scritto disperatamente: “Sono Maria Teresa Novara, sono la ragazza rapita”.  Su un quaderno, sempre la stessa frase, ripetuta innumerevoli volte.

Il funerale di Maria Teresa diventa un evento collettivo, con migliaia di persone che partecipano al lutto. La comunità esprime il proprio dolore e la propria rabbia, mentre si diffonde un’orrenda curiosità intorno alla “cascina maledetta”.

La le indagini si chiudono in fretta. Troppo in fretta. Per gli inquirenti Calleri è l’unico responsabile ed ha già pagato con la vita. Persino il nome di uno degli uomini che Maria Teresa ha scritto sul bordo di un quaderno viene “cancellato”. E l’omertà di chi conosceva la verità e non ha parla, alla fine consente a tutti degli aguzzini di Maria Teresa di sfuggire alla giustizia. Si parla di personaggi “rispettabili”, di uomini potenti che, pur sapendo cosa accadeva in quella cascina, non solo non intervennero, ma si servirono della giovane prigioniera per soddisfare i propri desideri perversi. 

In carcere, per pochi giorni, ci finisce un vicino di casa del Calleri, Antonio Borlengo, contadino di 41 anni, che aveva portato con il suo trattore cemento e mattoni per sistemare la cascina. L’uomo ammette di avere visto una ragazza in casa del vicino, ha sospettato che fosse Maria Teresa in una seconda occasione. Tuttavia, non ha avvertito nessuno di quella scoperta, perché non gli è parso opportuno farlo e non voleva avere fastidi. L’iniziale imputazione a carico del contadino è di favoreggiamento personale. Poi l’imputazione viene modificata nell’accusa di omissione di soccorso seguita da morte. Reato estinto in virtù dell’amnistia del 22 maggio 1970, che permette al Borlengo di tornare in libertà. 

Nessuno del posto denuncia i colpevoli, la stampa non stigmatizza i silenzi e il lassismo della Procura di Alba. Persino un giornale cattolico come “Famiglia Cristiana” trova da moralizzare sul fatto che nello sgabuzzino siano state trovate riviste “pornografiche” (cosa non vera, a meno che non si consideri tale un fumetto come Diabolik), indicandole come causa del suo degrado morale. Il quotidiano comunista “L’Unità ” si inventa addirittura che siano state trovate le prove che quella di Maria Teresa sia stata una fuga spontanea e che il rapimento sia stato “una ingenua messinscena”. 

L’angusta cella dove fu tenuta prigioniera la ragazzina

Il processo inizia soltanto nel 1975, sei anni dopo la morte di Maria Teresa. Le testimonianze e le prove sembrano insufficienti. Luciano Rosso, catturato dopo la fuga, viene inizialmente assolto per insufficienza di prove. Solo in seguito, grazie a un processo d’appello, verrà condannato a 14 anni di reclusione per il suo coinvolgimento nel rapimento. Ma la sensazione è che in molti siano sfuggiti alla giustizia. La rete di uomini che abusa della ragazzina e che contribuisce alla sua prigionia, assistendo alla sua morte senza mai intervenire, rimane impunita.

Se i giornali non hanno aiutato a scoprire la verità, la storia di Maria Teresa ha ispirato alcuni cantastorie che hanno voluto raccontare il tragico destino. Il Comune di Cantarana ha proposto anche di dedicarle una via nel suo paese natale, ma la proposta non ha avuto seguito su esplicita richiesta della famiglia. Alcuni autori hanno dedicato un libro a questa tragedia: Marilina Veca con La testa dell’Idra, sempre Marilina Veca con Giorgio Cattaneo con Anatomia di un delitto. Rapimento, sequestro e uccisione di Maria Teresa Novara; Lorenzo Rosso con Prigioniera di un cretino: storia di Maria Teresa Novara. Ultimo in ordine di tempo è il romanzo di Alessandro Perissinotto Il silenzio della collina, una storia di omertà perpetrata da un intera comunità e di una verità mai venuta fuori perché scomoda.

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