A TAVOLA

Un antico formaggio simbolo dell’alta Valle Grana: il Castelmagno

Un formaggio dalle origini antiche. Anzi, antichissime. Di cui il Piemonte, a partire dalla Provincia Granda, va fiero. Esaltato, premiato, utilizzato con maestria da grandi chef. E non solo italiani. Di cosa stiamo parlando è ovvio: il Castelmagno, uno dei prodotti che ci rende noti in tutto il mondo, insieme ad altre eccellenze come il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, il Gorgonzola.

La sua storia è antica e speciale, si sono ritrovati documenti che testimoniano la sua esistenza, già a partire dall’anno 1200, quando le tasse annuali per l’usufrutto di alcuni pascoli, venivano proprio pagate con forme di questo prelibato prodotto caseario. Come si può immaginare, il nome di questo cacio è legato al comune di nascita, Castemagno, paese dell’alta Valle Grana che ancora oggi è uno dei pochi a rientrare nel disciplinare di produzione, insieme a Pradleves e Monterosso Grana.

Prodotto con il latte vaccino di poche e precise razze bovine, dalla così chiamata “Piemontese” fino alla Barà Pustertaler, il Castelmagno si presenta agli occhi del consumatore con una pasta semidura, una crosta non edibile di colore tendente al giallo-bruna ed un interno bianco-giallo, particolarmente friabile, che, a seconda del periodo di stagionatura, può manifestare rare striature, tendenti dal verde al blu, e dovute all’erborinatura, una tecnica di lavorazione casearia che consente lo sviluppo di muffe del tipo pennicillium nella pasta del formaggio. “L’erborinatura” è un termine che deriva dal vocabolo dialettale lombardo “erborin” e significa prezzemolo: nel Castelmagno si sviluppa naturalmente con la stagionatura senza necessità di inoculo di muffe specifiche.

La stagionatura del Castelmagno

 Durante la stagionatura il formaggio viene posto a riposare nelle cantine, tutte con un grado di umidità altissimo, dal 90-95% in sù. Viene rivoltato tutti i giorni, ma non viene mai pulito. Il microclima delle cantine favorisce lo sviluppo di queste muffe nobili che trasmettono parte dell’aroma al formaggio.

Prodotto in forme cilindriche che hanno un diametro che può variare dai 15 ai 25 cm e che possono pesare dai 2 ai 7 kg, il Castelmagno si presenta con un sapore inizialmente fine e delicato, ma che diventa più forte e piccante con l’aumentare del periodo di stagionatura.

Un po’ di storia

Parlare delle origini del Castelmagno è parlare dell’inizio di una storia antichissima, di poco posteriore, se non contemporanea, alla storia del Gorgonzola, già conosciuto nel lontano XII secolo.Per quanto non si possano avere prove in tal senso, aldilà delle citazioni documentali, è ipotesi di esperti gastronomi e storici che la produzione del Castelmagno, nella sua forma attuale, sia iniziata nell’anno 1000, e che, da lì fino all’inizio del ‘900, periodo d’inizio della sua decadenza a causa delle grandi guerre e del progressivo spopolamento delle montagne, abbia vissuto un progressivo riconoscimento, comparendo, durante il corso dell’Ottocento, anche in alcuni tra i menù di prestigiosissimi ristoranti Parigini ed Inglesi.

Che il Castelmagno fosse rinomato anche in tempi molto remoti, lo dimostra il testo di una sentenza arbitrale del 1277, secondo la quale, per l’usufrutto di alcuni pascoli in contestazione fra i Comuni di Castelmagno e di Celle di Macra, si fissava come canone annuo – da pagarsi al Marchese di Saluzzo – una certa quantità di formaggi di Castelmagno, che è presumibile siano stati dello stesso tipo di quelli che si fabbricano attualmente.

Con la progressiva decadenza e lo spopolamento della montagna causato
dalle Grandi Guerre e dal rinnovato ruolo delle città, negli anni ’60 il
Castelmagno ha rischiato seriamente di scomparire. La ripresa produttiva è
avvenuta soltanto vent’anni dopo, sostenuta anche dal riconoscimento nazionale
DOC ricevuto nel 1982 grazie all’ impegno dell’allora sindaco Gianni De Matteis
e, pià tardi nel 1996, dal riconoscimento europeo DOP.

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