
Una figura leggendaria della cronaca nera torinese: “ël Cit ëd Vanchija”
Antonio Bruno, noto come “ël Cit ëd Vanchija“, è una figura leggendaria della storia torinese, il quale ha lasciato un’impronta indelebile nel folklore cittadino, nonostante il suo nome sia oggi quasi sconosciuto. La sua storia è un amalgama di avventure, disavventure e malintesi che riflettono un’epoca di difficoltà e cambiamenti.
Nato a Canale nel Roero, Antonio Bruno si trasferisce a Torino in un periodo di grande sconvolgimento sociale e politico, a seguito della perdita dello status di capitale da parte della città, trasferita a Firenze nel 1865. Questo evento genera una forte delusione tra i torinesi, aggravata da un clima di miseria e disagio. In questo contesto, Bruno emerge come un personaggio singolare, conosciuto per la sua bellezza e per il suo carisma, che ben presto lo condusse a una vita di attività illecite.
Dopo aver lavorato come calzolaio e ambulante, Antonio si unisce a una banda di malfattori, nota come “Amici del borgo Po”, attiva tra il 1865 e il 1868. La gang si rende responsabile di numerosi furti in appartamenti, alberghi e negozi torinesi, creando panico tra la popolazione. Tra le imprese più audaci, c’è il furto in un magazzino della stazione ferroviaria di Novara, che evidenzia l’audacia e la determinazione di Bruno e dei suoi complici.

Durante gli anni di attività della banda, la stampa locale non esita a lanciare allarmi e a criticare le forze dell’ordine, accusandole di inefficienza. La paura si diffonde, soprattutto dopo che alcuni cittadini vengono aggrediti in pieno giorno e furti di ingenti somme di denaro, come quello subito dal cambiavalute Guastalla, iniziano a diventare all’ordine del giorno. Un furto di gioielli a una coppia di sposi in visita a Torino per il matrimonio di Umberto e Margherita, futuri re d’Italia, fa sorgere nell’opinione pubblica interrogativi sulla sicurezza della città. La questura torinese decide di attuare una contromisura di massa, disseminando diverse spie la città, anche per far cessare il clamore suscitato dai giornali sulla sua incompetenza.
La crescente pressione da parte della polizia porta a un’intensificazione delle operazioni di cattura. Nel 1868, durante un blitz a Moncalieri, alcuni membri della banda vengono arrestati, ma Bruno riesce a fuggire. La sua abilità nel dileguarsi lo rende una figura quasi mitologica, alimentando storie e leggende. Le notizie sulla sua presunta fuga in Francia o Svizzera si diffondono rapidamente, ma non si può sapere con certezza dove si trovi.
Negli anni successivi, il processo ai complici di Bruno assume proporzioni enormi, coinvolgendo oltre cinquanta imputati, mentre l’opinione pubblica continua ad essere affascinata dalla figura di Bruno, considerata un simbolo di ribellione. La giustizia lo condanna in contumacia ai lavori forzati a vita, ma l’inafferrabile ragazzo di Vanchiglia rimane un fantasma per le autorità, capace di sfuggire a ogni tentativo di cattura. In una lettera spedita dalla Nuova Caledonia nel 1903, un deportato garantisce di aver conosciuto bene Bruno. Secondo il galeotto, il “cit” era fuggito dal Piemonte in Francia dove aveva continuato a delinquere. Qui era stato arrestato e trasferito nella colonia pensale sperduta nel Pacifico. Una volta tornato libero si sarebbe trasferito in Australia dove avrebbe perduto il lume della ragione: in manicomio dove avrebbe trascorso gli ultimi anni della sua esistenza. Questa lettera, pubblicata sul quotidiano La Stampa finì per alimentare nuove leggende.
La storia di Antonio Bruno continuerà ad essere raccontata nel corso dei decenni successivi. Giovanni Saragat, un noto cronista giudiziario, e Lorenzo Cini Rosano, altro rispettato reporter, contribuiranno a mantenere vivo il suo mito attraverso articoli e racconti, mescolando fatti e finzione. A Bruno saranno dedicate addirittura quattro commedie, così come tre romanzi, uno dei quali, Il piccolo di Vanchiglia, scritto da Carolina Invernizio e pubblicato sull’appendice della Gazzetta di Torino e poi in volume nel 1895 dalla Tipografia della Gazzetta di Torino. Salani nel 1898 pubblicherà a Firenze il romanzo con il titolo Il segreto di un bandito. Romanzo storico sociale.